Successione, il trust non è soggetto passivo

di Andrea Vicari

Pubblicato su "Il Sole 24 Ore" del 29 maggio 2025 

Il 12 maggio è stato pubblicato il “position paper” della Society of trust and estate practitioners (Step) Italy dedicato all’applicazione dell’imposta sulle successioni ai beni inclusi in un trust interposto. Questo documento ha il principale merito di riportare alla ribalta la circolare 2022/34/E (par. 3.4) per la quale tali beni dovrebbero essere inclusi «tra i beni e i diritti che compongono l’attivo ereditario» alla morte del disponente.
Il concetto di trust interposto è invocato nell’accertamento delle imposte dirette per imputare i redditi del trust a disponenti o beneficiari. Raramente è accompagnato da un riferimento normativo. L’interposizione presuppone la soggettività passiva della persona interposta.
Dunque due sono le norme che, per presupposti o per effetto, sono potenzialmente rilevanti: l’articolo 73 del Tuir e l’articolo 37, comma 3, del Dpr 600/1973. Queste riguardano solo le imposte dirette e il loro accertamento. Non possono essere applicate ai fini di altre imposte.
La Cassazione (16 febbraio 2021, n. 3986) ha stabilito l’irrilevanza della soggettività passiva del trust al di fuori delle imposte sui redditi, derivando questa da una norma speciale non applicabile analogicamente.
Peraltro, anche l’articolo 37 è una norma speciale e non applicabile analogicamente ad altre imposte. Dunque, per l’imposta sulle successioni, il trust non può essere un soggetto passivo e non può nemmeno essere un soggetto interposto.
Queste norme non forniscono alcun fondamento logico-giuridico per far rientrare nella massa ereditaria del disponente i beni inclusi in un trust ritenuto interposto per le imposte dirette. Step Italy aderisce a questa conclusione ma con altre argomentazioni. Infatti, tra l’altro, afferma che, per includerli, «l’Agenzia delle entrate dovrebbe adire il giudice civile per far pronunciare, in tale sede, l’inesistenza/simulazione/nullità del trust, per poi trarne le relative conseguenze sui beni e diritti oggetto del patrimonio del trust», sottovalutando però il dettato dell’articolo 47, comma 2, lettera d-bis) del Tus che permette all’Amministrazione, senza ricorre al giudice civile, di «dimostrare, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, la sussistenza, l’insussistenza, la simulazione e la dissimulazione di fatti o atti rilevanti ai fini della determinazione della base imponibile o dell’imposta».
Questa norma, spesso ignorata, semplifica l’azione di accertamento ma chiarisce che, ai fini dell’Is, sia rilevante il solo fenomeno della simulazione civilisticamente intesa non quello poliforme dell’interposizione sviluppatosi nelle imposte dirette. La simulazione presuppone che, contrariamente alle risultanze dell’atto istitutivo di trust e degli atti dispositivi palesati ai terzi, le parti abbiano concluso un accordo occulto teso a negare gli effetti di questi o a sostituirgli negozi diversi. Dunque, l’Agenzia può includere i beni in trust nell’attivo ereditario del disponente senza ricorrere al giudice civile, ma lo può fare solo ove provi che il trust sia effettivamente simulato ai sensi del diritto civile, non quando semplicemente interposto ai fini delle imposte dirette.
Infine, con il Dlgs 139/2024 è stato introdotto l’articolo 4-bis, comma 1, nel Tus, chiarendo che «i trust e gli altri vincoli rilevano, ai fini dell’applicazione dell’imposta sulle successioni e donazioni, ove determinino arricchimenti gratuiti dei beneficiari».
Il legislatore ha così legato la rilevanza del trust ai fini di quest’imposta all’arricchimento prodotto dall’attribuzione del diritto a percepire i beni in trust nel tempo, relegando all’irrilevanza il trasferimento di proprietà e, dunque, il trasferimento o meno del possesso dei relativi redditi a cui rimangono legate le imposte dirette.

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